La musica e il suo significato per Platone

La musica ha un ruolo significativo, se non fondamentale, nella vita di ciascun uomo. Non solo è una scelta di vita dettata dalla passione di chi vi si dedica attraverso lo studio di uno strumento o della composizione; è fonte universale di intime sensazioni per chi l’ascolta, in solitudine o in compagnia, e vi collega un significato, un valore, il ricordo di un momento della vita.
Come la maggior parte degli aspetti più indicativi e interessanti della dimensione umana, la musica è stata a lungo oggetto della riflessione filosofica, da quell’antica a quella contemporanea, da Platone a Nietzsche; per essere precisi, la prima ad esprimersi in merito fu proprio la filosofia platonica.

Non è la non-musica che forma il musicista,
bensì la Musica; la musica che rientra nell’ambito sensibile è
sempre prodotta dalla Musica che la precede.
PLOTINO, Enneadi, V, 8, 1
L’epoca in cui visse Platone, l’Atene del quinto secolo, era un tempo difficile, che esigeva che lo sguardo della filosofia – fino ad allora concentrato sui principi naturali di aria, terra, acqua e fuoco – si rivolgesse all’uomo, alla sua vita, o meglio, al suo modo di vivere: all’etica. Pertanto, Platone considerava la musica anzitutto come mezzo educativo. Nella Repubblica, infatti, scriveva che l’educazione è lo strumento che consente, al tempo stesso, di accertare le doti naturali di ciascuno e di provvedere al loro perfezionamento, e nella stessa opera illustrava le fasi attraverso le quali i guerrieri e i filosofi – ossia i membri delle due classi superiori nella “città giusta” – dovevano essere educati a svolgere adeguatamente il loro compito. La prima fase prevedeva l’addestramento del corpo e la formazione del carattere, quindi la ginnastica, e la musica, in unione con la poesia. Quest’ultima, però, come anche la rappresentazione teatrale, lungi dalla funzione educativa che pretende di avere, è spesso corruttrice dei suoi ascoltatori, soprattutto se giovani. Suscita infatti emozioni che non rende capaci di controllare, e costituisce dunque una minaccia nei confronti dell’ordine gerarchico tra le varie parti dell’anima – oltre che una sorgente di false credenze socialmente pericolose.

In dialoghi come lo Ione e il Fedro, ad esempio, Platone riprendeva la tesi – enunciata anche da Democrito – secondo cui la poesia è una forma di ispirazione o follia prodotta dall’invasamento da parte della divinità, in primo luogo delle Muse: il poeta, quindi, non conosce propriamente quello che dice né ne è padrone. Gli è sottratta ogni dimensione conoscitiva; nella migliore delle ipotesi, è soltanto portavoce inconsapevole della divinità, deprivato di quel primato educativo che la tradizione omerica tendeva ad assegnargli.
Secondo il filosofo ateniese, la poesia non è in grado neppure di fornire conoscenze effettive sulla realtà; i poeti, gli scultori e i pittori, producono soltanto imitazioni degli oggetti che esistono in natura o che sono prodotti dagli artigiani, solo immagini – più o meno deformate – di ciò che è. Il mondo, nel pensiero platonico, è infatti armonia imperfetta, pallida immagine di un’armonia di idee iperuraniche, e fili saldi e sottili legano le bellezze della sfera naturale alla Bellezza delle sfere celesti.
Ciò non vuol dire che ogni forma di poesia debba essere bandita dalla città giusta, ma in essa sarà lecito ammettere soltanto quelle forme che siano compatibili con i valori della città e capaci di contribuire – esercitando la persuasione e una sorta di “incantamento” sugli ascoltatori – alla formazione morale dei cittadini.
Non a caso, il fatto che Platone abbia posto la propria massima riflessione sulla musica proprio alla fine del suo maggiore monumento letterario (a conclusione del decimo libro della Repubblica, o Politeia, come suona il titolo in greco) – dopo averla promessa, suggerita, anticipata con la debita suspense in altri dialoghi, il Critone, il Fedone, il Simposio – non lascia dubbi sull’importanza del mito e sul significato altissimo che il filosofo gli attribuisce.

musica

Platone colloca il mito di Er lungo l’itinerario intellettuale che l’autore chiama “la seconda navigazione“. Nel linguaggio dell’antica arte marinara, “prima navigazione” era quella che si compiva spinti dalla forza del vento, mentre “seconda navigazione” era quella che si intraprendeva quando, caduto il vento, si poneva mano ai remi. Nel linguaggio platonico, la prima navigazione simboleggia la ricerca da lui compiuta sulla scia dei filosofi naturalisti (Talete, Democrito), spinto cioè dal vento della filosofia applicata alla natura (la physis) che presto si fa ingannevole e sospinge fuori rotta. La seconda navigazione simboleggia l’apporto personale di Platone, ossia la ricerca compiuta con le sue sole e proprie forze: quella che, trovando la giusta rotta, porta alla scoperta del soprasensibile e delle idee. L’essenza della musica, nella filosofia di Platone, rientra esattamente in questo dominio.

Er è un soldato morto in battaglia che vive l’avventura della resurrezione, e racconta che nell’al di là le anime vengono sorteggiate per scegliere tra quali vite reincarnarsi. Tuttavia il Caso non assicura una scelta felice, mentre determinanti potranno essere i trascorsi dell’ultima reincarnazione – scegliere, nella visione platonica, significa infatti essere coscienti criticamente del proprio passato per non commettere più errori e avere una vita migliore -. Le Parche renderanno poi la scelta della nuova vita immodificabile: nessuna anima, una volta operata la scelta, potrà cambiarla, e la sua vita terrena sarà segnata dalla necessità. Le anime si disseteranno con le acque del fiume Lete (il fiume della dimenticanza) ma quelle che lo hanno fatto in maniera smodata dimenticheranno la vita precedente, mentre i filosofi, che guidati dalla ragione non hanno bevuto, manterranno il ricordo, solo un po’ attenuato, del mondo delle idee, alle quali, durante la nuova vita, potranno riferirsi per ampliare la loro conoscenza e vivere serenamente.
Nell’ascesa Er conosce pene e ricompense conseguenti alle azioni commesse in vita dagli uomini e il ciclo di trasmigrazione delle anime. In seguito è condotto a conoscere la struttura della realtà fisica: lì vede l’anima del mondo che tiene avvinti i cieli, e le sfere che ruotano nei cieli intorno al fuso della necessità, toccati nella loro rotazione perfetta dalle mani delle tre Moire. In ogni cielo le sirene cantano le note dell’armonia dell’universo.

L’importanza della musica sta proprio nella struttura matematica dell’universo, nelle relazioni e nelle proporzioni numeriche che compongono la realtà astronomica la legge della Bellezza e dell’armonia. Il canto delle sirene è appunto espressione della perfezione razionale con cui il Demiurgo ha costruito l’anima del mondo e la realtà fisica, come corpo e anima. Musica e filosofia sono strettamente connesse e concorrono su piani diversi alla medesima funzione conoscitiva; l’astronomia è dunque per Platone intrinsecamente filosofica e musicale. E dalla matematica, dall’astronomia, dalla musica e dalla filosofia è possibile formulare precetti politicamente armonici, orientati al bene, alla collettività, alla bellezza, alla verità.

Martina Patriarca

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2 commenti su “La musica e il suo significato per Platone
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